E’ NATO UN ACRITANO DI ACRI     

 

                                                           di    ANGELA MARIA SPINA

Acri esulta, non solo perché ha un nuovo sindaco, una giunta esecutiva e una rappresentanza
politica in pieno vigore, ma anche perché c’è aria di avvento, carico di attese,
aspettative e banchi di prova, per quello che si spera possa essere un auspicabile
nuovo corso storico nella terra dei briganti, che in questo giorno, nasce metaforicamente
alla vita, anche nella notte in cui il piccolo Nicola, viene alla luce in modo
rocambolesco, per pura virtù sua e della propria volenterosa madre.
Ma Acri alle sue nascite – si sa – non resta mai insensibile, e giù con foto, confetti,
fiocchi, cicogne e sorrisi, per mero campanilismo a buon mercato, tutti ad esultare “è
nato un acritano di acri” non già per offrire tripudi ed allori a medici e paramedici,
che pur di calcare le scene e i prosceni del teatrino ospedaliero, svendono ed offendono
al tempo stesso, nello scatto di un reportage fotografico, il diritto alla salute
delle donne della locale cittadina, scambiando il frastuono della gioia per il lieto
evento, con quello più rude e spigoloso del diritto alla salute.
Siamo già al terzo lieto evento con fiocco azzurro, che tanto fa gongolare i sanitari
del locale pronto soccorso e del servizio del 118. Ma anziché far indignare e sollevare
essi stessi, insieme ai malcapitati cittadini tutti uniti, per la vergogna di dover vedere
nascere ancora nell’anno domini 2017 i nostri figli e pro nipoti, sullo lettino di
un pronto soccorso, in assoluta mancanza e carenza di personale specialistico o
adeguata assistenza, da quando il presidio ospedaliero “Beato Angelo” di Acri è stato
pesantemente dimensionato e contratto; a danno e per demerito di una intera comunità
allo spasimo; si pensa invece a gongolarsi per un lieto evento, pur nobile ed
importante per una comunità che ormai ha già abbondantemente dimensionato anche
le sue nascite.
Per certi versi è sorprendente per il locale sistema sanitario, nella tendenza degli ultimi
anni a voler ritornare all’incudine del passato, che si ispiri ed inviti cioè “alle
cose naturali” ivi compreso il parto, che possa essere ampiamente sostenuto e sponsorizzato
come panacea all’emergenza sanitaria in corso.
Però mi scandalizza come donna, madre e cittadina di questo sciagurato paese, tanto
da ispirarmi al tema “ah come si viveva bene una volta quando si stava peggio“ almeno
si riusciva a partorire con un margine di sicurezza, che oggi è negato impunemente
a tutte le donne fertili in età da parto (e sono tante) da orde di politici
demolitori, che invece dovrebbero assicurare e tutelare i sacrosanti diritti anche
delle donne-madri di questo territorio periferico ed isolato.
Certo ritengo sorprendente l’immorale vergogna resa virtù, tutta racchiusa in una foto
ricordo – che è semplicemente il risultato della disillusione – di una donna come me
che, si scopre a vivere in un sol colpo un’epoca oscurantista e per nulla audace come
quella attuale, che invece di invitare a battersi per difendere il diritto alla salute,
promulga, accetta e non sa di subire in pieno, le offese e le provocazioni, di quanti
svergognati, si allineano tutti in bella mostra, nutriti e verosimilmente sani, per aver
fatto poi cosa? Non si comprende bene, datosi che in una nascita ogni merito appartiene
alla neo-mamma a lei sola e in fin dei conti ad ella ed al proprio bambino.
Ed io incontentabile di natura, che certo non mi accontento di stare come stiamo, so
fin troppo bene che magari basta una pillola per uccidere il batterio della polmonite,
così come non cerco di dare mai per scontato che se ci tolgono un dente, una puntura
di anestetico è sempre meglio del vecchio caro alcol in un fazzoletto che insieme ad
un buon litro di cognac fungeva da anestetico tra i denti.
Perché io sono donna, madre e cittadina, ecco perché m’indigno, e chiedo altro; e
l’altro, si sa, non si può solo vagheggiarlo, né tanto meno inventarselo; ma è affermazione
di una conquista che da donna a donna, magari conduce alla resa dei conti, per
dimenare in faccia a quanti si propongono in bella mostra e si organizzano, per apparecchiare
i tavoli dell’altrui successo, a proprio torna conto, per millantare le altrui
prodezze ostetriche, offerte come prestazioni nel locale pronto soccorso.
Vergogna, Vergogna, Vergogna, per la folta schiera di “amanti del naturale” e del “ritorno
al passato” cioè di quella parte di cittadinanza poco curante che dice e pensa
così, facendo torto alle donne di Acri, alle quali implicitamente propone: “signore
siate le benvenute a partorire sul lettino del pronto soccorso Beato Angelo” che
da santo certo s’indignerà almeno lui, per aver lasciato latitare gli acritani, alla rude
considerazione che mi appresterò di qui a poco, a svolgere.
Del resto in un passato, non troppo lontano ma sempre vivo, si moriva come le mosche
per mancate cure sanitarie e si considerava l’ultimo respiro, come l’unica fine al
dolore ed alle sofferenze. Dunque per cosa ci si dovrebbe lamentare oggigiorno? Perché
non ripetere allora che un antibiotico è del tutto “naturale” com’è “naturale” il fiore
di un campo, se la “banalità” del partorire viene ancora considerata tale, tanto da
continuare ad essere sentita come un fatto “troppo naturale” da diventare un atto
pretestuoso, per invitar le donne acritane all’insano balzo ed al ritorno al passato,
che non considera ad esempio più lesa l’affermazione delle future mamme senza il
diritto al parto sicuro, ovvero, alla certezza di poter godere di tutta l’assistenza
possibile in ambiente protetto e rassicurante, affinché questo momento tanto
cruciale, fosse vissuto nel modo migliore possibile, abbattendo cioè al minimo i
rischi per la salute sia della partoriente che del nascituro.
In troppi infatti ignorano che il sistema sanitario nazionale deve prendersi carico
della responsabilità di seguire e sostenere la gestante durante tutte le fasi che
precedono e seguono il parto, ivi compresa la gravidanza e possibilmente anche l’allattamento
incluso, sia dal punto di vista strettamente medico che da quello psicologico
e clinico.
Dunque sono arrivata al punto: La violenza sulle donne, è anche quella di imporre
a tutte noi donne un tipo di parto non sicuro, né protetto, che non prevede più
come facevano le nostre nonne, che almeno sceglievano di partorire a casa – e che anche
se morivano a frotte per complicanze da parto, riuscivano tutto sommato ad organizzare
un margine di sicurezza e protezione a lunga gittata nel proprio letto, senza
pretese alcune di emancipazione né di progresso.
Dunque perché mai per le donne di Acri, ad oggi non è dato più mai di considerare
il parto come diritto e atto di giustizia, di scelta e di libertà?
Perché mai più la possibilità di poter partorire a casa, piuttosto che in sala parto, anziché
in un freddo pronto soccorso, che dovrebbe essere considerato il posto migliore,
per agognare di poter ritornare a partorire in sicurezza e riservatezza, piuttosto che
come invece nei paesi poveri, dove vi è una mortalità materna e neonatale che rasenta
la strage.
Da noi a queste latitudini, per scongiurare complicanze e rischi fin troppo evidenti,
non è dato neanche di riconsiderare nemmeno la debita possibilità che il sistema sanitario
possa Riorganizzare per il territorio – che non è suddito né secondo a nessuno – i
propri servizi connessi alla ginecologia, dopo lo squartamento del locale presidio
cittadino, che ha fatto della locale sanità “carne di porco” per usare un eufemismo
caro agli acritani.
Abbiamo impiegato sforzi enormi e battaglie epiche, per inventare antibiotici, anestetici
e per dotare il territorio di un nosocomio efficiente ed efficace ai bisogni
del territorio, per scoprire che siamo stati tutti turlupinati, da quanti ci hanno catapultati
all’indietro del nuovo medioevo delle melasse sanitarie. Magari è solo un problema
di cattiva comunicazione, perché a scrivere e saper dare bene le notizie – soprattutto
quelle importanti sul dimensionamento sanitario – non basta mai, solo il volersi
esprimere appellandosi ai dati; ma anche soprattutto a voler evitare falsi procla-
mi da reality show e se possibile con drammatica austera serietà, invitarci tutti ad accomodarci
altrove, possibilmente fuori da questo territorio, poiché sopraggiunti i ladri
che hanno bene imposto, non più la salute e la sanità per tutti, specie per le donne categorie
da sempre più esposte a rischio, è stato piuttosto imposto loro il rischio ed il
calcolo probabilistico del: “che non accada mai il peggio sin che sarà possibile”.
Il primo compito del medico è proprio informare bene, correttamente, ed onestamente,
aggiungo. Con chi si affida alla medicina, è bene essere chiari, bisogna
dire le cose come stanno ma senza mezze parole o scorciatoie e soprattutto senza
pubblicità faziosa e tendenziosa, proprio perché ne va della salute della gente.
Ma solo in pochi conoscono la deontologia delle professioni, ed in una orgia di protagonismi,
in barba al caro Ippocrate, in troppi danno il ben servito alla salute della
città di Acri. In ostetricia alcune complicanze possono essere prevedibili ed hanno
dei fattori di rischio, che aumentano vertiginosamente le probabilità. Penso perciò a
tutta quella serie di complicanze, anche molto gravi, che sono caratterizzate da
assoluta imprevedibilità – come tante cose in medicina – e queste sono quasi tutte
legate all’evento naturale proprio del parto, non quindi solo della gravidanza che precede
la nascita del bambino. Solo nel passato poteva concepirsi che la gravidanza
ed il parto fossero considerati come eventi rischiosi, ricchi di complicazioni e con
una mortalità altissima. Oggi NO, pardon mi correggo almeno oggi non più, perlomeno
per le donne acresi.
Per noi altre sciagurate, non è più così, la mortalità materna e neonatale, torna a marcare
il passo tra centro e periferia, riducendosi per chi può permetterselo, mentre per
le altre no, resta sempre drammaticamente molto alta, basti pensare alle infezioni
contratte o alle emorragie post partum, che restano eventi improvvisi e drammatici,
non sempre prevedibili e sì risolvibili; vi sono poi le complicanze a cui vanno incontro
i neonati dopo la nascita, per forza di cose risolvibili solo in un ambienti attrezzati,
libere da carenze strutturali e di organico.
Siamo dunque destinate donne Acritane, a dover invocare invano, il sacro diritto
ad un’ostetrica ed un ginecologo al nostro fianco, essenziale per ogni futura
mamma, durante il parto come concessione e frontiera delle nostre stesse incerte
conquiste. Perché è un diritto ancora fondamentale della donna dei paesi civilizzati,
avere al proprio fianco una persona professionalmente capace, sia pure oltre la sola
medicalizzazione.
Tutte le giovani donne Acritane incinte, insieme dovrebbero per prime promuovere
e chiedere per sé, la loro libertà di scelta e di autodeterminazione anche al
momento del parto, come donne e come cittadine, per poter ad esempio scegliere
in libertà, un modello specifico di parto vaginale piuttosto che cesareo; naturale piuttosto
che con anestesia epidurale e quant’altro; per poter continuare così ad affermare
il proprio diritto come donne, di scegliere come e dove partorire.
In altri termini, bisogna riconoscere che la violenza sulle donne può avvenire anche
al momento del parto, privandoci di fatto di non poter scegliere, del diritto
di ognuna a compiere una scelta consapevole, qualunque essa sia. Ecco perché
considero, la negazione del diritto di scelta delle donne acritane al parto, come donna,
madre e cittadina, una violenza sulle donne alle donne, che come tale deve essere
combattuta in primo luogo soprattutto dalle sanitarie donne, oltre che da ogni cittadino.
Così come deve essere perseguita, la pratica degli interventi medici non necessari
e non acconsentiti, che costituisce un abuso e un’intollerabile negazione dei diritti
della persona” anche la salvaguardia del diritto al parto ad Acri, dovrebbe essere fatta
salva, poiché il diritto di scelta deve essere sempre salvaguardato a prescindere dal
contenuto della scelta stessa, che è un valore assoluto in sè.
Le donne sanno rivelarsi coraggiose, specie quando denunciano gli abusi subiti al
momento del parto, ecco perché invito tutte le donne di Acri partorienti e non, in
quanto donne, a battersi e ribellarsi per il riconoscimento del diritto di scegliere
dove e come partorire e segnare un punto di svolta, per le stesse sorti del sistema
sanitario locale.
Là dove sono impotenti i politici saranno potenti le acritane unite. Incontrarsi
perciò per creare un movimento che sia funzionale alla diffusione della cultura
dei diritti umani delle donne al momento parto, ma che sappia diventare funzionale
anche alle denunce ed alle azioni concrete verso l’intero presidio ospedaliero della
città di Acri, sarebbe un bel gesto di civiltà e coraggio, per promuovere la riscoperta,
delle capacità di partorire, che se pure innata e preesistente a ogni protocollo, è funzionale
come già detto, al diritto di diffondere la cultura della libera scelta e del consenso
consapevole ed informato al momento del parto.
Ogni donna consapevole delle proprie risorse, infatti è più capace di interagire finanche
con il personale medico e ostetrico, e diventa così in grado di mantenere un
ruolo attivo anche durante il parto. Una donna che ritrova fiducia nella propria capacità
di partorire può meglio superare la paura del parto, accogliere l’intima esperienza
del dolore e naturalmente, abbattere l’immagine stereotipata del parto come
sofferenza fine a sé stessa, che è immagine che ha dato alla cultura della medicalizzazione
il terreno fertile sul quale far attecchire e sovente continuare a fare sciacallaggio
a buon mercato.
Le donne Tutte devono poter partorire in sicurezza; le donne stesse dovrebbero
essere assistite per partorire, da medici e paramedici potendo contare anche su supporti
psicologici e di assistenza legale, per rispondere alle esigenze di salvaguardia
della donna e del nascituro.
Esigenze reali, dichiarate e documentate, rendono per Acri tutto questo di fatto impossibile,
imponendo un “esclusivo” modello di parto quello cioè in urgenza, come
un unico modo di affrontare l’esperienza del parto come personale e opinabile, cioè
come un più “banale” modo di viverlo. Solleviamoci dunque da questa ignobile frustrazione
offensiva e discriminante contro un tipo di violenza sulle donne, subdola
ed incontrovertibile.
Dunque tante madri acritane, per numerosi parti in sicurezza, utili tutti, per richiamare
l’attenzione dell’intero borgo, sullo stato di diritto e la sicurezza, che si dovrebbe
garantire alle partorienti e alle puerpere di questo nostra cittadina. Tante più madri per
un personale in servizio nei reparti interessati e per l’intero ospedale, più organico e
personale in servizio, da prevedere nei singoli reparti per garantire efficienza, la
strumentazione dei servizi, degli ambulatori ginecologici e non, dell’intero nosocomio
e di ogni singolo dettaglio sanitario, sulla necessità di fare un bilancio sull’esistente
già ridotto al lumicino, ed anche sulla adeguatezza del personale sanitario in
forza ed Acri a seguito dei pesanti e considerevoli tagli e spostamenti, che minano e
sfidano sistematicamente la sicurezza dei pazienti di Acri.
Maggiore omogeneità nelle politiche sanitarie della locale struttura ospedaliera, per
quanto riguarda il percorso nascita, l’assistenza al parto e le misure di controllo del
dolore durante il travaglio. Ridefinizione del ruolo del locale consultorio e dell’attività
ospedaliera con dotazione organica, in cui possa essere garantito, il “percorso nascite”
e l’assistenza alla gravida durante tutto il periodo della gravidanza fino all’espletamento
del parto con la disponibilità h24 di personale dedicato, che può anche
avvenire certo anche in regime di urgenza, ma contempla sempre e comunque l’organizzazione
di mezzi, uomini e ausili, utili all’espletamento dell’evento parto in sicurezza,
con particolare attenzione alla “umanizzazione” dell’intero percorso, per l’assistenza
in loco.
In definitiva si tratta di recuperare pezzi di efficienza e capacità per dare risposte agli
enormi bisogni sanitari del territorio acrese, che ci sono stati impunemente scippati
per mettere in sicurezza il percorso nascita e soprattutto per la presa in carico della
donna gravida fino al momento della nascita, con se possibile, ulteriori e importanti
investimenti così come avviene in altre realtà, per tutto un ospedale che serve ed è
presidio per un intero territorio svantaggiato e penalizzato pesantemente.
Acri lo desidera, le donne di Acri lo meritano.
ANGELA MARIA SPINA