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“Voglia di emergere”: riflessioni di una lettrice

Di Caterina SEBASTIANI

Sono, a volte, degli accattivanti dettagli esteriori a spingerci verso alcune letture piuttosto che altre. È stato così per “Voglia di emergere”, il libro di Massimo Conocchia; una copertina e un titolo particolarmente intriganti mi hanno indotto a leggerlo.
Scritto in una prosa fluida, mai retorica o arzigogolata, il racconto ci fa rapidamente addentrare nell’universo descritto dall’autore. Vi si delinea una realtà sociale, economica e familiare tipicamente meridionale degli anni ‘60-’80 del secolo scorso. La numerosa famiglia patriarcale d’appartenenza è il punto di partenza da cui ci si avvia per raccontare questa “voglia di emergere”.
Ma cosa rappresenti tale voglia e in che modo si definisca lo apprendiamo gradualmente, seguendo passo passo le vicende dell’io narrante.
Il primo “step” è il tentativo d’affrancamento da un ambiente economicamente e socialmente difficile. È un voler andare al di là delle difficoltà di un mondo, che sembra altalenante tra il voler mutare e la paura di farlo. Emergono personaggi politici oculati, che stimolano e assistono quella gente del Sud nel disperato tentativo di aggrapparsi a un treno chiamato prosaicamente: boom economico. Emergeranno, poi, gli eredi di quella generazione, con caratteristiche multiformi.
Il protagonista cerca e trova il suo riscatto sociale, si proietta verso una nuova dimensione, attraverso l’acquisizione della cultura; di quel sapere, troppo spesso negato a una certa fascia sociale, dalla quale egli orgogliosamente proviene.
Sono toccanti i passi dedicati alla partenza dalla sua Acri e alla scoperta del mondo universitario.
Compiuta la “prima realizzazione”, la Laurea e il diventare stimato medico, ci si ritrova catapultati in un universo ancora più duro da penetrare, quello professionale.
Qui le capacità e le competenze sono spesso schiacciate da ataviche mentalità pseudofeudali. Ecco il secondo scalino verso la rivalsa: la lotta per l’affermazione in una realtà fatta di ingiustizie, perpetrate da pochi a danno di tanti.
Il passo più alto, infine, a mio parere, in questo percorso verso “l’emergere”, è la volontà di mettersi in gioco per il bene della comunità attraverso l’impegno politico.
Dopo una prima fase di disincantata e spontanea attività, si passa all’amara constatazione che i cambiamenti in questo ambito sono più complicati di quanto non si creda e risiedono in logiche di partito, non sempre comprensibili agli animi puri.
Al termine del libro si giunge rapidamente, senza che mai l’autobiografia diventi compiacimento per se stesso o per i propri traguardi. All’interno del racconto, s’innestano personaggi aneddotici e piccole storie nella storia, che gli danno una leggera coloritura antropologica, spassionata e senza pretese.
Tutti quelli della generazione dello scrittore e delle altre antecedenti, si ritrovano – come espresso sapientemente dal prefatore prof. Pasquale Tuscano – nelle micro e macro realtà da lui descritte. Conocchia ha una grande capacità di scrittura, quella di far rivivere il suo racconto nelle menti dei lettori, grazie a un incedere narrativo vivido e toccante, non indulgendo mai nel patetico.
Un libro, questo, che si fa leggere tutto d’un fiato e fa scoprire noi stessi e quel mondo meridionale del passato e del presente, partendo dal personale e arrivando, senza ostentazioni, all’universale.

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