OPINIONI | Il perdono senza scuse
di Giuseppe Donato
Vorrei potervi dire che ho imparato a fare il padre seguendo gli insegnamenti di mio padre, ma non è così.
Vorrei potervi dire che ho trascorso la mia infanzia tra le mura domestiche, nel caldo abbraccio di una famiglia che esercitava un controllo discreto nelle vite dei propri figli, ma non è stato così.
Vorrei potervi dire che non ho commesso alcun tipo di errore nei primi diciotto anni della mia vita, ma non è proprio così.
E allora cosa potrei dirvi per distogliervi dalle arrampicate sugli specchi che incominciano a pullulare sulle bacheche social, tendenti a spostare l’attenzione da una tragedia annunciata? Il pensiero corre indietro negli anni, come se l’ennesima auto si fosse incuneata nella processione del venerdì santo, colpita a morte da uno sprovveduto che ha pagato il prezzo della sua incoscienza dopo aver rischiato il linciaggio per opera dei fedeli risvegliatisi di colpo da un incubo durato pochi ma interminabili attimi. E per qualcuno quell’incubo dura da una vita, per nulla affievolito dai tardivi risarcimenti economici.
Esercitare il diritto di cronaca e di opinione spiattellando convinzioni a metà strada fra l’ecumenismo democristiano e il maanchismo veltroniano serve soltanto a rifuggire da responsabilità che sono in primo luogo etiche e morali, poi ci sarà tempo per il perdono giudiziale, la messa alla prova o la condanna. Esigere il perdono prima ancora di porgere le dovute scuse stride terribilmente con gli stati ansiosi generati in adolescenti che non hanno avuto nemmeno il tempo di rendersi conto di aver iniziato un nuovo percorso di crescita, una fase di transizione fra la scuola secondaria di primo e secondo grado, finendo travolti da un’inaspettata violenza perpetrata ai loro danni da coetanei ritenuti fino a poco tempo prima amici, conoscenti, persone di cui potersi fidare.
Come spiegare, altrimenti, l’esigenza di tutelare gli uni e gli altri costringendoli a proseguire la parte residua dell’anno scolastico fianco a fianco nella stessa aula, senza subire l’assillo del più bieco dei pensieri ovvero che chi mi sta accanto si è macchiato di un reato che si vuole derubricare a sciocchezzuola dettata dall’immaturità?
Giochicchiare con l’app che “toglie” i vestiti alla compagna di classe sottintende l’aver accettato delle condizioni d’uso dell’applicazione che comportano la dichiarazione di aver compiuto 16 anni e di essere dunque a conoscenza delle norme che potrebbero essere facilmente violate con un uso sconsiderato delle funzioni offerte dal ritrovato tecnologico. E se dietro ci fosse un vero e proprio mercato dedito alla commercializzazione del materiale pedopornografico, con a capo insospettabili maggiorenni, la situazione potrebbe decisamente virare dalla semplice accusa di diffamazione a mezzo internet a quelle più deleterie ascrivibili alla diffusione di materiale pedopornografico.
Io ci andrei cauto prima di issarmi a difensore d’ufficio di Caino 2.0, perché dalla bolla di sapone che si pensava dovesse scoppiare in fretta e furia, magari in sordina, si è repentinamente passati alla bomba a grappolo capace di disseminare il potenziale bellico a largo raggio e per lungo tempo, a causa del materiale rimasto inesploso dopo aver toccato terra.