Dunami tiempu ca ti grupu

di Franco Bifano

Sei dicessi: a marioda, n’concaloscia, a scolla, u cusceadu , in pochissimi capirebbero a cosa mi riferisco perché sono termini del nostro dialetto che stanno andando via via scomparendo dall’uso comune. Questi, in particolare, sono ormai tra quelli spariti definitivamente. Insieme a loro, credo sparisca anche un po’ della nostra identità. Sarebbe opportuno, quindi una maggiore tutela. E’ quello che fa un mio amico d’infanzia, il poeta Angelo Canino. Angelo è una sorta di navigatore temporale, attraverso il vernacolo riesce a percorrere e a guidarci a ritroso sulle strade delle tradizioni. Spesso, sul suo profilo Facebook pubblica poesie in dialetto scritte sul momento e ispirate da fatti di attualità. In gran parte però i suoi componimenti dialettali si muovono sul terreno delle emozioni legate ai ricordi e che aprono cassetti nella nostra mente che pensavamo ormai smarriti. Nei suoi versi sono custoditi gelosamente frammenti indelebili legati al passato che come per incanto ritornano a vivere.
Di recente, sempre sui social, tiene una sorta di rubrica del “cosi si diceva una volta”, nella quale si diverte a farci scoprire come siano curiose le differenze nei modi di dire tra il presente e il passato. Ad esempio, “Faccio uno spuntino”, diventa “Piju nu muzzicunu”,oppure “Si è slogato un piede” diventa “Ll’è JJutu stùartu”.
La passione per la poesia in vernacolo lo ha portato a scrivere ben sei libri, più una sorta di dizionario italiano-acrese. Il lavoro più recente (che vi consiglio), pubblicato a luglio di quest’anno ha come titolo “Tiempi juti e tiempi e mo”.
Fin dall’inizio di questo percorso letterario, il suo talento è stato gratificato dai tanti premi ricevuti, ben 205! E’ stato premiato in15 regioni da nord a sud, oltre che in Svizzera. Coppe, attestati, trofei, menzioni speciali e targhe, tanti premi da riempiere una stanza intera. Tra i riconoscimenti più singolari, quello ricevuto a Monza, una statua di bronzo fuso di oltre tre chili di peso. Uno tra quelli che lo inorgoglisce di più è la targa-premio alla carriera dell’Associazione Gueci di Rende.
Quando parliamo dei tanti primi posti ottenuti nei vari concorsi è visibilmente soddisfatto, ma non riesce a nascondere l’amarezza di sentirsi non compreso da chi nella nostra città, potrebbe valorizzare a pieno le sue qualità. Si sente una po’ lasciato ai margini. Quando lo incontro mi dice sempre: “Mi hanno premiato a Roma, Firenze, Napoli a Lugano, eppure la mia città è come se mi tenesse da parte. Io, con aria da “intellettuale navigato”, lo consolo: “caro mio, ricorda: nemo profeta in patria”. Sorride, forse per compiacermi perché, a guardarlo bene, sembra un sorriso che sa un po’ di amaro. Eppure, ci sono città come Roma, Napoli, Genova che organizzano già corsi di dialetto anche nelle scuole e persino spettacoli e concorsi per evitare che il loro uso vada scomparendo. Ahimè, forse sarebbe chiedere tanto ed essere troppo avanti!
Ogni regione, ogni città ha i suoi tempi, ma noi a volte preferiamo prendercela troppo comoda. Meglio comunque non perdersi d’animo, come fa il tenace topo davanti alla noce. “Dunami tiempu ca di grupu! ” , sussurra infatti il simpatico animaletto, coltivando la certezza di riuscire, prima o poi, finalmente a romperla.