A proposito di referendum

di Leonardo Marra

Chi mi segue, nei miei sempre più rari interventi su questa pagine, sa che non amo molto scrivere di politica. Fedele a questa regola, non dettata da opportunismo, ma dalla consapevolezza di non avere un substrato politico tale da permettermi di argomentare fino in fondo le mie considerazioni, mi limiterò, partendo da mere osservazioni, a cercare di formulare qualche (a mio avviso) legittimo interrogativo.
Perdonate se sarà necessaria una premessa, ma bisogna esporre i fatti per comprendere le perplessità che ne conseguono.
In questi giorni sono in “discussione” due importantissimi aspetti che riguardano la nostra Repubblica e la democrazia in generale.
Il primo è l’appuntamento del 4 dicembre, quando saremo chiamati alle urne per esprimere il nostro parere sulla proposta (della Ministra Boschi) di un nuovo assetto istituzionale e costituzionale della Repubblica Italiana. Questa proposta prevede, tra le altre, l’abolizione del Senato della Repubblica sostituendolo con un “Senato delle autonomie”, che sarebbe composto da membri delle province e delle amministrazioni regionali (100 senatori in totale, non si sa da chi eletti, ma certamente non dal popolo).
Il nuovo Senato non avrà potere di legiferare, potendo solo esprimere un parere (non vincolante) sulle leggi emanate dalla Camera dei Deputati, ed avrà la funzione principale di connettere i vari organi dello Stato con le Regioni e i Comuni. (Su questo punto, a parte la dubbia utilità di un Senato così composto, nessuno spiega l’utilizzo dell’immunità parlamentare per i membri di un Organo di “governo” che non avrà più alcun potere).
Se passasse la riforma costituzionale alcuni (quasi 20) poteri, ora gestiti dalle autonomie locali, tornerebbero un’esclusiva dello Stato, che li ricomincerebbe a gestire. Fra questi: sicurezza sul lavoro, ambiente, gestione di porti e aeroporti, energia (sia per il trasporto che per la distribuzione), politiche per l’occupazione, ordinamenti professionali…
Intendiamoci, non che questo sia necessariamente un male, ma in questo caso si potrebbero avere degli enormi rallentamenti, dal momento che le regioni non avrebbero più modo di intervenire autonomamente in caso fosse necessario.
Il secondo aspetto riguarda la legge elettorale (già legge dello Stato approvata con 334 SI e 61 NO) denominata “Italicum”. Per farla breve, un proporzionale che assegna un premio di maggioranza (340 seggi su 630) alla lista che supera il 40%. I partiti perdenti si ripartiscono i 290 seggi rimanenti sulla base della percentuale di voti. Inoltre ci saranno capilista bloccati (eletti automaticamente se scatta il seggio). È possibile che un candidato si presenti in più collegi, fino ad un massimo di 10.
Potranno votare per corrispondenza i cittadini italiani che sono all’estero per almeno tre mesi o per motivi di studio (per esempio l’Erasmus), per lavoro o per cure mediche.
In parole povere:
popolazione italiana 61.000.000 (circa)
aventi diritto al voto: 47.000.000
votanti: 35.250.000  (75% alle ultime politiche)
maggioranza: 14.100.000 (40% dei votanti così come previsto dalla legge elettorale)

Questo vuol dire che poco più di 14 milioni di italiani decideranno il destino di 60 milioni di loro connazionali (senza contare la farsa del voto degli italiani all’estero dove persone che non hanno rapporti con l’Italia da decenni potrebbero fare la differenza con il loro voto per giunta né segreto, né personale).
Queste leggi, frutto di un precedente accordo fra due delle maggiori forze parlamentari italiane, sembravano il primo passo verso il superamento di contrapposizioni ideologiche che, a detta di molti, rischiavano di paralizzare l’Italia.
In nome del “bene supremo della Nazione” questa coalizione sembrava, dunque, voler abbattere gli steccati divisori procedendo a testa bassa verso una comune visione “innovativa” della Democrazia.
A tale proposito, è da tenere presente come la definizione di Democrazia preveda la:
“Ricerca di una modalità capace di dare al popolo la potestà effettiva di governare e nella quale il rapporto tra la maggioranza e la minoranza è improntato alla reciproca tutela
Nella democrazia indiretta o rappresentativa, il potere sovrano è esercitato da rappresentanti eletti dal popolo (il Parlamento).
L’Italia, ad esempio, è una repubblica parlamentare (quindi a democrazia indiretta) che usa come unici strumenti di democrazia diretta il referendum, l’iniziativa popolare e la petizione popolare.
Ora riforma costituzionale, oggetto del referendum, oltre a quanto esposto in precedenza prevede, in certi casi, di innalzare il tetto delle firme necessarie per proporre un referendum da 500.000 ad 800.000 e quelle per presentare un ddl di iniziativa popolare da 25.000 a 250.000, allontanando ancora di più gli Italiani dalla istituzioni e l’Italia dal principio di Democrazia.
Partendo da ciò, ecco le mie osservazioni.
Sfruttando l’onda del voto popolare alle elezioni europee, il Presidente del Consiglio, ritenendo (a torto o a ragione) di avere la maggioranza dei consensi (ma è bene ricordarlo, il suo Governo non è stato eletto dal popolo), ha fatto man bassa di cariche istituzionali, così oltre al Governo, ha in mano il Parlamento, il CSM, la Consulta, senza contare le innumerevoli industrie nazionali e banche nelle quali ha provveduto a piazzare, per le più alte cariche, uomini “fidati”. Nulla di nuovo, sia ben chiaro, da ché l’Italia è Italia si è sempre fatto così (purtroppo) ma, ricordando le due leggi (riforma del Senato e legge elettorale), stavolta la situazione presenta aspetti a dir poco inquietanti che sembrano incanalare irreversibilmente la politica verso le secche della autoreferenzialità.
Quindi un cittadino medio come me, dotato di intelligenza media come (forse) sono io, fa due conti e si pone qualche domanda.
Se passasse la riforma costituzionale, ci ritroveremmo con un (inutile) Senato della Repubblica, non eletto dal popolo che non avrà più il potere di discutere ed eventualmente bloccare leggi inique, a questo si aggiungerebbe una legge elettorale che permette ad una maggioranza molto relativa di comportarsi come una maggioranza assoluta (rivisitazione della legge Acerbo del 1923) e quindi legiferare a proprio piacimento, azzerando di fatto qualunque opposizione. Liste semi-bloccate con rappresentanti del popolo non eletti dal popolo, l’impossibilità evidente da parte dei cittadini di proporre leggi o di chiederne l’abrogazione.
Non sarà che il risultato di questi cambiamenti per “snellire la democrazia” possa finire per essere, invece, quello di limitarne fortemente l’applicazione, aprendo la porta a derive autoritarie?
La mia impressione è che, data l’evoluzione dei tempi, il fascismo delle purghe all’olio di ricino, dei manganelli, delle epurazioni sia stato sostituito da forme più sottili ed insidiose di assolutismo, con modalità che però, oggi come allora, sollecitano il consenso del popolo in nome del quale rivendicano un ruolo primario nel palcoscenico europeo.
Quindi mi chiedo: “se l’esperienza insegna qualcosa, com’è possibile che, ora come allora, si possano portare sugli scudi, personaggi forieri di proclami, ancorati ad un concetto di culto della personalità, come segni profetici della ricerca del potere assoluto? E cosa potremo fare come singoli cittadini se non avremo a disposizione neppure il voto a fungere da deterrente? “